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IL PONTE SULLO STRETTO E IL MUSEO DEL MARE DELL’HADID POTREBBERO TRASFORMARE IL MERIDIONE ITALIANO IN UN DINAMICO SUD EUROPEO E IN PROPULSIVO NORD PER L’AFRICA E L’ORIENTE con Salvatore Vermiglio

Non è una provocazione quella di Salvatore Vermiglio, presidente dell’Ordine degli Architetti di Reggio Calabria: l’invisibile si rivela attraverso una strategia complessiva di affrancamento da modelli superati e logori. Il Sud, la Calabria sono effervescenti

L’emergente, seppure lento, processo di re-insediamento dell’architettura nel ruolo di leva urbana e sociale, di qualificazione delle comunità e di motore per la collettività è una straordinaria opportunità per il Paese tutto, per il nostro Sud e per sostenere, orientare, coadiuvare la politica nazionale e locale.
Le domande e le riflessioni risvegliate dalla pandemia hanno acceso, come prima reazione, i riflettori sui luoghi belli e invisibili dell’Italia.
Per portare i nostri luoghi alla godibilità, architettura e politica devono lavorare insieme e in fretta: se non ci sono le strade – le infrastrutture! – non si raggiungono i luoghi invisibili.

Costruire il ponte sullo stretto o il tunnel sotto lo stretto, (permutabili nel significato di connessione, non certo per architettura, ingegneria e impatto) è una scelta importante per aprire al mondo e all’Italia un territorio chiuso che sicuramente si trasformerebbe profondamente, muterebbe equilibri geografici, ambientali, socio-economico.
Qualcosa si perderebbe (molto?), ma molto si guadagnerebbe.
Il nostro Sud diventerebbe un Sud forte e con voce in capitolo sul piano economico e politico, nuovo baricentro tra Africa e Oriente ed Europa.
Un’innervazione infrastrutturale a servizio dell’ipotetico ponte attribuirebbe valore economico e svilupperebbe il potenziale culturale e turistico dei nostri luoghi.
L’architettura, fondamentale in questo processo, avrebbe il compito di governare una conurbazione protetta da contaminazioni fisiche (edilizie, urbanistiche e infrastrutturali) avvilenti.

Sintetizzando e semplificando, il punto è che se non si costruisce il ponte, non si fanno le infrastrutture, quelle fondamentali, intra regionali e di connessione a Roma e alle altre regioni.
L’urgenza del ponte e di un progetto coordinato e parallelo tra ponte e infrastrutture significa trasformare Sicilia e Calabria in Europa.
Arretrare dall’impegno di costruire il ponte, di contro, vuol dire restare fermi, ancorati a quella visione prefabbricata del Sud, negandone le potenzialità europee e mondiali.

Fotografia di Stefano Anzini.


Negare il ponte vuol dire restare invisibili.
L’invisibilità del territorio non è protezione della sua bellezza, ma danno per la sua valorizzazione e diffusione.
Un parallelo efficace, nella sua durezza e scomodità, è la contrapposizione tra espansione e contrazione. Il rischio di contrazione è altissimo e, in un contesto globale che tende all’espansione e all’integrazione, aumenta il pericolo di un’esclusione permanente dai processi di sviluppo.
Per agire vs contrazione è fondamentale orientare gli investimenti sulla scuola e sulle infrastrutture fisiche e digitali.
Lo spopolamento culturale e fisico è una forma grave di contrazione e la scuola, l’alfabetizzazione sui valori del territorio, l’unica possibilità di invertire la rotta dell’abbandono


Come si concilia la visione pragmatica e operativa con le posizioni di “indugio intellettuale e protettivo”, valorizzazione discreta, tempo lento?
La nostra, particolarmente quella della Calabria, è una invisibilità immeritata. Penso che portare ulteriore interesse sul territorio, anche con richiami forti, sia un punto nodale per ricondurre l’equilibrio tra quello che si vede, quello che è invisibile e ha senso rivelare, quello che può rimanere invisibile (parti di territorio delicate e uniche) e persino quello che non abbiamo voglia di guardare.
Il progetto di Zaha Hadid per il Museo del Mare di Reggio Calabria potrebbe essere un richiamo forte, al netto delle polemiche di ordine architettonico e culturale.
A questo proposito, come Ordine ci siamo impegnati per portare un contributo nel dibattito pubblico e abbiamo creato una sinergia con l’amministrazione reggina per la realizzazione del Museo del Mare.

Far emergere la ricchezza di Reggio Calabria, potenziare il sistema universitario che funga da polo attrattore per il Sud, ma anche per tutta l’Europa, vista l’indiscutibile unicità del nostro patrimonio, può funzionare, come è accaduto per altri centri, Ferrara, per esempio, anche come volano di rilancio urbano in chiave di città universitaria, contribuendo a invertire il processo di abbandono e di spopolamento.
In questa visione, i borghi, non più entità isolate nella loro unicità e bellezza, potrebbero usufruire di una rete a supporto delle loro immense potenzialità.
Un borgo non è un oggetto di consumo, non ha senso parlare di borghi, in modo indifferenziato, permutando la Toscana con la Liguria e la Liguria con la Calabria, ….
In molti dei nostri borghi non ci sono neppure le guardie mediche, ammesso che si riesca a raggiungerli. E neppure arriva la fibra, ammesso che si possa fare una spesa alimentare senza partire per spedizioni che impegnino un’intera giornata.

Qual è la traccia operativa da seguire?
Il primo passaggio è quello di abbandonare i campanilismi tra Sicilia e Calabria e lavorare insieme per portare sul tavolo del legislatore le priorità e i percorsi di intervento.
Rialziamo la testa, oggi dopo la Covid che ha avuto il merito, nella crudezza dei lutti, nella gravità della malattia e nel dramma economico che ha generato, di renderci consapevoli di quanto il Sud sia forte.
Per fare questo partiamo dall’architettura, assumiamola in un ruolo strategico di coordinamento. Non ci accontentiamo più.
Azzardiamo scelte difficili, mettiamo insieme architettura e infrastrutture, uniamo la costa ionica con quella tirrenica.
Pensiamo e agiamo senza pregiudizi, in modo libero.
Acceleriamo.

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SVELARE L’INVISIBILE È UN ESERCIZIO CHE DIPENDE, SPESSO, DALL’ACCESSIBILITÀ AI LUOGHI: UN DIRITTO NEGATO NEL SUD DELL’ITALIA con Francesco Miceli

Francesco Miceli, Presidente Ordine Architetti P.P.C. Palermo, ci racconta come l’architettura, i borghi, il territorio e tutti i progetti di valorizzazione si scontrino con la durissima realtà della mancanza di infrastrutture. Che non è (solo) un problema, ma un diritto di fruizione negato

Partiamo da un postulato: il Sud è una risorsa, per qualità del territorio, per l’incredibile ricchezza dei beni storico-culturali (le regioni del Sud hanno tutte una grande densità, rilevata, per dimensione, da Istat, di beni culturali). Purtroppo, a fronte di questo patrimonio, non viene messa in atto una politica che lo tuteli e valorizzi adeguatamente, confermando l’Italia come uno dei paesi meno generosi d’Europa nel finanziamento della cultura. Non c’è una strategia di promozione, di salvaguardia, né si lavora per costruire una rete che metta in connessione le piccole porzioni disperse e l’interazione, la visibilità rispetto al mondo esterno.  
Nuclei isolati vivono il proprio destino di eccellenza (in qualche caso) o di abbandono e degrado (più di frequente), negano le affinità che la storia ha generato, dalla matrice greca, alle contaminazioni arabe e normanne, perché non esiste una relazione fisica, una connessione tra di loro.
I beni culturale del Sud, come di ogni altro luogo, non possono essere, semplicemente, un elenco: devono essere organizzati in una strategia di politica territoriale che faccia leva sul fronte culturale anche (non solo) per invitare a un turismo intelligente.
Dunque, al di là delle azioni sul singolo, è necessario intervenire sul territorio per garantire l’accessibilità agli oggetti.
L’accessibilità alla fruizione del patrimonio, così come degli spazi pubblici, attiene al tema del diritto del cittadino. Infrastrutturare il territorio significa consentire a ogni singolo cittadino di accedervi.
La mancanza di accessibilità è un diritto negato al patrimonio storico e culturale.

Fotografia di Stefano Anzini.

Se partiamo dal tema dei diritti, quello di vivere la città, il suo patrimonio storico, di fruire dei servizi apre un mondo di altre questioni perché amplifica la riflessione su cosa siano oggi le città, i centri minori e i borghi.
Le città nascono e si sviluppano nel XX secolo come luoghi primari di consumo. La logica delle città non è incentrata sul cittadino, ma su una concentrazione di persone che proviene molto spesso da altri contesti, talvolta rurali.
Il senso economico concentra le persone dove si sviluppa la possibilità di “consumare”.
La diffusione della Covid-19 sta inducendo a una rilettura (non necessariamente a una mutazione) della città che può essere trasformata in luogo di innovazione culturale e di esercizio dei diritti
Un processo di riconfigurazione in tal senso – interpretare la città come elemento di civilizzazione più che come luogo di consumo – significherebbe riscrivere e adeguare i modelli correnti e adottati fino a oggi, partendo dall’architettura, riattribuendole un ruolo strategico e politico.

Si sono progressivamente associati, negli ultimi dieci anni, tre aggettivi alla città, con funzione catartica: smart (città smart, che in realtà è un’espressione asettica orientata a governare diversamente la logica del consumo); resiliente e sostenibile.
Dobbiamo chiederci se, realmente, la purificazione della città passi attraverso questi tre significati o se non siano opportuni escamotage linguistici per camuffare un’identità che è, invece, rimasta immutata.  La riflessione è più ampia, la revisione del centro urbano passa attraverso una nuova fisiologia, particolarmente al Sud, dove la sostenibilità ambientale compensa, da sempre, gli oltraggi edilizi insostenibili e la resilienza è nel Dna del meridione, considerando la nostra capacità di rialzarci dopo i terremoti, i dissesti e le alluvioni che si sono verificate nel corso del tempo.
Sicuramente, oggi, sta emergendo una nuova consapevolezza e la digitalizzazione è un elemento chiave centrale nell’organizzazione della città. In questa mutazione l’architettura fa i conti con il proprio tempo, provando a dare risposte.


Svelare l’invisibilità dei luoghi del nostro Mediterraneo è una delle risposte possibili.  
Mediterranei Invisibili è un progetto importante perché racconta un Sud inedito, non facile, ma con uno straordinario potenziale culturale, turistico, paesaggistico.
È un’esplorazione che parte dal basso, indaga realtà che sono territorialmente marginali, ma ricche di contenuti e di modelli desueti, valorizzando quello che non si trova più altrove.
La Sicilia presenta una grande potenzialità di tradurre questi modelli in un’ipotesi di lavoro.
Le tre parole catartiche, al Sud sono azioni quotidiane di sopravvivenza.
Ne ha reso una testimonianza eccezionalmente espressiva Pasolini nel libro “la Lunga strada di sabbia”, il diario di un viaggio, nel 1959, lungo le coste italiane da Ventimiglia a Palmi, in cui per il Sud c’è l’attesa e la gioia più grande. Il percorso verso Vallo Lucano lo induce a scrivere, “Qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei”.

Fotografia di Stefano Anzini


Ma il legame con il territorio più autentico è più difficile da mantenere per i centri minori: diventa sempre più complesso, fino a lacerarsi e distorcersi, il rapporto tra urbanità e ruralità, Palermo ne è un esempio paradigmatico. L’intersecarsi dei brani agricoli nella periferia della città consolidata può diventare una grande risorsa: anche questi sono luoghi invisibili, di un’invisibilità diversa da quella celata dei borghi. Sono invisibili perché non si ha voglia di guardarli, ma strategici per ripensare la città, non certo per trasformarli in brani di edilizia, ma per costruire un’identità di raccordo e valorizzazione. Per non negare la sostenibilità naturale, l’intelligenza del luogo e per esaltarne la resilienza.

Nel Mediterraneo del Sud, l’identità esiste anche nelle periferie: è un fatto da rilevare e sottolineare per riscattarne il degrado e il sottoutilizzo, per estendere il diritto allo spazio pubblico e allo spazio urbano.
Lo spazio urbano è un concetto e un diritto esteso, una dimensione progettuale importante per definire il modello, non è una variabile indipendente, ma qualcosa che influisce profondamente sul quotidiano dell’individuo.
Nel suo discorso su “Architettura e Salute”, tenuto al Consiglio Nazionale degli Architetti nel luglio del 2018, lo psichiatra Vittorio Andreoli aveva spiegato, con rigore scientifico come il comportamento dell’individuo sia influenzato da tre fattori: la biologia (l’essere fisico, “la carne”); la personalità e l’ambiente, l’ambiente naturale, geografico e l’ambiente di relazione e che per questo è necessario che l’ambiente naturale e quello di relazione siano coerenti tra di loro.
Tutto questo è architettura, architettura nel Sud dell’Italia.


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IL MEDITERRANEO DELLO STRETTO NON È CELEBRATO DA ECLATANTI EPISODI MONUMENTALI O PAESAGGISTICI, È FATTO DI FRAMMENTI E DI SGUARDI con Gaetano Scarcella

Riflessioni di Gaetano Scarcella, architetto siciliano, attivo a Messina e a Nizza di Sicilia che parla di infrastrutture, turismo, educazione vs globalizzazione

I Mediterranei non sono uguali. Le prospettive e le situazioni cambiano nel Mediterraneo atlantico o nel Mediterraneo che lambisce l’Italia tirrenica, ionica o adriatica. Mediterranei Invisibili – Viaggio sullo Stretto III – si concentra sulla striscia di mare e sui territori tra l’estremo limite della Calabria e la cuspide accogliente e protesa della Sicilia.
Un territorio così particolare che per essere compreso deve essere vissuto lentamente, camminando, indugiando nel percorso composto da frammenti diversi, ma insieme coerenti tra loro, che generano l’unicità e la tipicità rurale di questi luoghi. Piccoli borghi, terrazzamenti, spazi – quelli del messinese – che non vivono di fatti eclatanti, monumentali o paesaggistici. In essi il Tempo si trasforma da tema astratto a materialità misurata sulla velocità con cui i luoghi e le relazioni tra essi sono state costruite.
In questa visione, il borgo insedia uno dei suoi significati, centro abitato o propaggine di un centro abitato o vissuto legato al passato nella sua relazione con il territorio.
I nostri borghi nascono per difendere le comunità dalle aggressioni piratesche del medioevo, in un sistema territoriale di connessioni agricole e di sfruttamento dell’acqua.
Caratteri costruttivi e sistemi di relazione sono stati pensati sulle situazioni climatiche dei tempi in cui sono sorti, nei quali l’abitare esprimeva un significato ed esigenze diverse perché non trovava nella vita domestica il suo perno. 
Ed è questo il motivo primo per comprendere il destino di questi borghi partendo dalla relazione attuale, conciliandola con quella storica e con il territorio. 
Alcuni, per caratteristiche paesaggistiche, architettoniche, storiche, vivono oggi una dimensione da cartolina.
Ma non tutto può assumere come termine di sviluppo il paradigma turistico tradizionale, sia per mancanza di una vocazione spontanea, sia perché non vogliono trasformarsi in tal senso.
Per esempio, l’anello di Nisi è un percorso circolare di sentieri che connette i quattro centri di una vallata segnata da discreti e inediti landscape, opifici abbandonati, paesaggi agrari, qualche monumento sparso.
E proprio qui, negli ultimi anni, sono nati dei movimenti spontanei che hanno l’obiettivo di valorizzare un turismo di ricerca, pacato, che non si configuri assecondando l’immagine mentale già costruita sui modelli tradizionali.
Se ha un senso che il rilancio di un territorio – come il sistema delle valli ioniche dei Peloritani, la tappa che avvia il viaggio 2020 – passi anche (non solo) dal turismo, è necessario trovare la chiave di lettura corretta e rispettosa, perché si tratta di luoghi inesplorati. 


Il significato attribuito alla parola turismo, destagionalizzato e reso “educato”, va calibrato ai luoghi in termini, non solo funzionali, ma anche coerenti con il temperamento e la vocazione delle comunità. 
Se il turismo è una potenzialità apparentemente spontanea e semplice per orientare il rilancio del Sud, lo sviluppo resta subordinato ai tre elementi fondamentali di crescita: l’infrastrutturazione fisica, anche in questo caso uscendo dall’ovvietà di riaffermare le esigenze di potenziare il collegamento viario e ferroviario, invece analizzando i contesti e individuando quali siano le migliori soluzioni armonizzate con le caratteristiche fisiche dei territori. Quando parliamo di infrastrutturazione fisica, siamo in un tempo che appartiene alla preistoria: in gran parte della Sicilia non sono fruibili i mezzi pubblici, né esiste una vera rete ciclabile, né sono stati valorizzati, se non in piccola parte, luoghi di straordinario fascino per esempio la Magna Via Francigena; la scuola che nel Sud, in questo Sud, più che in altre situazioni, deve farsi carico di trasferire la conoscenza, la consapevolezza e l’orgoglio dei luoghi e l’infrastrutturazione digitale, come generatore di diffusione del Sud verso il resto del mondo.

Fotografia di Stefano Anzini


Quali strategie progettuali si possono mettere in campo per conciliare, per esempio, il potenziamento infrastrutturale con l’amplificazione turistica?
L’approccio è, prima di tutto, culturale: l’infrastrutturazione non serve “ad altri”, ai turisti, ma è funzionale alle esigenze del territorio e delle comunità, perché il primo risultato di una buona infrastruttura fisica è il miglioramento della qualità di vita di ogni singolo cittadino.
Non si tratta di emulare o importare, acriticamente, i modelli nord-europei e dell’area settentrionale italiana, ma di analizzare l’organizzazione delle economie locali e lavorare sugli elementi valoriali, anche in chiave di infrastrutture, per esempio, conservando l’identità del sistema agricolo ed evidenziando la biodiversità del paesaggio.


Il paesaggio è un prodotto unico e irripetibile ed è partendo da questa consapevolezza che si può lavorare sul territorio assumendo la corretta chiave di lettura e intervenendo per valorizzarlo.
Il Sud è una piccola porzione se messo in relazione al tema complessiva della globalizzazione, appare come un elemento di scarso rilievo, ma il suo rilancio può auto-generarsi proprio in contrapposizione ai modelli culturali dei paesi anglofoni che hanno, in questo 2020, mostrato l’enorme limite e incapacità di sostituire il verbo consumare con il verbo vivere.
Il Sud potrebbe essere l’anti-polo della globalizzazione spietata, elaborandone solo gli aspetti positivi, ed emergendo, finalmente, sotto il profilo competitivo.

Fotografia di Stefano Anzini