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SVELARE L’INVISIBILE È UN ESERCIZIO CHE DIPENDE, SPESSO, DALL’ACCESSIBILITÀ AI LUOGHI: UN DIRITTO NEGATO NEL SUD DELL’ITALIA con Francesco Miceli

di ROBERTA DE CIECHI E ALFONSO FEMIA - 19/09/2020

Francesco Miceli, Presidente Ordine Architetti P.P.C. Palermo, ci racconta come l’architettura, i borghi, il territorio e tutti i progetti di valorizzazione si scontrino con la durissima realtà della mancanza di infrastrutture. Che non è (solo) un problema, ma un diritto di fruizione negato

Partiamo da un postulato: il Sud è una risorsa, per qualità del territorio, per l’incredibile ricchezza dei beni storico-culturali (le regioni del Sud hanno tutte una grande densità, rilevata, per dimensione, da Istat, di beni culturali). Purtroppo, a fronte di questo patrimonio, non viene messa in atto una politica che lo tuteli e valorizzi adeguatamente, confermando l’Italia come uno dei paesi meno generosi d’Europa nel finanziamento della cultura. Non c’è una strategia di promozione, di salvaguardia, né si lavora per costruire una rete che metta in connessione le piccole porzioni disperse e l’interazione, la visibilità rispetto al mondo esterno.  
Nuclei isolati vivono il proprio destino di eccellenza (in qualche caso) o di abbandono e degrado (più di frequente), negano le affinità che la storia ha generato, dalla matrice greca, alle contaminazioni arabe e normanne, perché non esiste una relazione fisica, una connessione tra di loro.
I beni culturale del Sud, come di ogni altro luogo, non possono essere, semplicemente, un elenco: devono essere organizzati in una strategia di politica territoriale che faccia leva sul fronte culturale anche (non solo) per invitare a un turismo intelligente.
Dunque, al di là delle azioni sul singolo, è necessario intervenire sul territorio per garantire l’accessibilità agli oggetti.
L’accessibilità alla fruizione del patrimonio, così come degli spazi pubblici, attiene al tema del diritto del cittadino. Infrastrutturare il territorio significa consentire a ogni singolo cittadino di accedervi.
La mancanza di accessibilità è un diritto negato al patrimonio storico e culturale.

Fotografia di Stefano Anzini.

Se partiamo dal tema dei diritti, quello di vivere la città, il suo patrimonio storico, di fruire dei servizi apre un mondo di altre questioni perché amplifica la riflessione su cosa siano oggi le città, i centri minori e i borghi.
Le città nascono e si sviluppano nel XX secolo come luoghi primari di consumo. La logica delle città non è incentrata sul cittadino, ma su una concentrazione di persone che proviene molto spesso da altri contesti, talvolta rurali.
Il senso economico concentra le persone dove si sviluppa la possibilità di “consumare”.
La diffusione della Covid-19 sta inducendo a una rilettura (non necessariamente a una mutazione) della città che può essere trasformata in luogo di innovazione culturale e di esercizio dei diritti
Un processo di riconfigurazione in tal senso – interpretare la città come elemento di civilizzazione più che come luogo di consumo – significherebbe riscrivere e adeguare i modelli correnti e adottati fino a oggi, partendo dall’architettura, riattribuendole un ruolo strategico e politico.

Si sono progressivamente associati, negli ultimi dieci anni, tre aggettivi alla città, con funzione catartica: smart (città smart, che in realtà è un’espressione asettica orientata a governare diversamente la logica del consumo); resiliente e sostenibile.
Dobbiamo chiederci se, realmente, la purificazione della città passi attraverso questi tre significati o se non siano opportuni escamotage linguistici per camuffare un’identità che è, invece, rimasta immutata.  La riflessione è più ampia, la revisione del centro urbano passa attraverso una nuova fisiologia, particolarmente al Sud, dove la sostenibilità ambientale compensa, da sempre, gli oltraggi edilizi insostenibili e la resilienza è nel Dna del meridione, considerando la nostra capacità di rialzarci dopo i terremoti, i dissesti e le alluvioni che si sono verificate nel corso del tempo.
Sicuramente, oggi, sta emergendo una nuova consapevolezza e la digitalizzazione è un elemento chiave centrale nell’organizzazione della città. In questa mutazione l’architettura fa i conti con il proprio tempo, provando a dare risposte.


Svelare l’invisibilità dei luoghi del nostro Mediterraneo è una delle risposte possibili.  
Mediterranei Invisibili è un progetto importante perché racconta un Sud inedito, non facile, ma con uno straordinario potenziale culturale, turistico, paesaggistico.
È un’esplorazione che parte dal basso, indaga realtà che sono territorialmente marginali, ma ricche di contenuti e di modelli desueti, valorizzando quello che non si trova più altrove.
La Sicilia presenta una grande potenzialità di tradurre questi modelli in un’ipotesi di lavoro.
Le tre parole catartiche, al Sud sono azioni quotidiane di sopravvivenza.
Ne ha reso una testimonianza eccezionalmente espressiva Pasolini nel libro “la Lunga strada di sabbia”, il diario di un viaggio, nel 1959, lungo le coste italiane da Ventimiglia a Palmi, in cui per il Sud c’è l’attesa e la gioia più grande. Il percorso verso Vallo Lucano lo induce a scrivere, “Qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei”.

Fotografia di Stefano Anzini


Ma il legame con il territorio più autentico è più difficile da mantenere per i centri minori: diventa sempre più complesso, fino a lacerarsi e distorcersi, il rapporto tra urbanità e ruralità, Palermo ne è un esempio paradigmatico. L’intersecarsi dei brani agricoli nella periferia della città consolidata può diventare una grande risorsa: anche questi sono luoghi invisibili, di un’invisibilità diversa da quella celata dei borghi. Sono invisibili perché non si ha voglia di guardarli, ma strategici per ripensare la città, non certo per trasformarli in brani di edilizia, ma per costruire un’identità di raccordo e valorizzazione. Per non negare la sostenibilità naturale, l’intelligenza del luogo e per esaltarne la resilienza.

Nel Mediterraneo del Sud, l’identità esiste anche nelle periferie: è un fatto da rilevare e sottolineare per riscattarne il degrado e il sottoutilizzo, per estendere il diritto allo spazio pubblico e allo spazio urbano.
Lo spazio urbano è un concetto e un diritto esteso, una dimensione progettuale importante per definire il modello, non è una variabile indipendente, ma qualcosa che influisce profondamente sul quotidiano dell’individuo.
Nel suo discorso su “Architettura e Salute”, tenuto al Consiglio Nazionale degli Architetti nel luglio del 2018, lo psichiatra Vittorio Andreoli aveva spiegato, con rigore scientifico come il comportamento dell’individuo sia influenzato da tre fattori: la biologia (l’essere fisico, “la carne”); la personalità e l’ambiente, l’ambiente naturale, geografico e l’ambiente di relazione e che per questo è necessario che l’ambiente naturale e quello di relazione siano coerenti tra di loro.
Tutto questo è architettura, architettura nel Sud dell’Italia.