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IL MEDITERRANEO DELLO STRETTO NON È CELEBRATO DA ECLATANTI EPISODI MONUMENTALI O PAESAGGISTICI, È FATTO DI FRAMMENTI E DI SGUARDI con Gaetano Scarcella

di Roberta De Ciechi e Alfonso Femia - 18/09/2020

Riflessioni di Gaetano Scarcella, architetto siciliano, attivo a Messina e a Nizza di Sicilia che parla di infrastrutture, turismo, educazione vs globalizzazione

I Mediterranei non sono uguali. Le prospettive e le situazioni cambiano nel Mediterraneo atlantico o nel Mediterraneo che lambisce l’Italia tirrenica, ionica o adriatica. Mediterranei Invisibili – Viaggio sullo Stretto III – si concentra sulla striscia di mare e sui territori tra l’estremo limite della Calabria e la cuspide accogliente e protesa della Sicilia.
Un territorio così particolare che per essere compreso deve essere vissuto lentamente, camminando, indugiando nel percorso composto da frammenti diversi, ma insieme coerenti tra loro, che generano l’unicità e la tipicità rurale di questi luoghi. Piccoli borghi, terrazzamenti, spazi – quelli del messinese – che non vivono di fatti eclatanti, monumentali o paesaggistici. In essi il Tempo si trasforma da tema astratto a materialità misurata sulla velocità con cui i luoghi e le relazioni tra essi sono state costruite.
In questa visione, il borgo insedia uno dei suoi significati, centro abitato o propaggine di un centro abitato o vissuto legato al passato nella sua relazione con il territorio.
I nostri borghi nascono per difendere le comunità dalle aggressioni piratesche del medioevo, in un sistema territoriale di connessioni agricole e di sfruttamento dell’acqua.
Caratteri costruttivi e sistemi di relazione sono stati pensati sulle situazioni climatiche dei tempi in cui sono sorti, nei quali l’abitare esprimeva un significato ed esigenze diverse perché non trovava nella vita domestica il suo perno. 
Ed è questo il motivo primo per comprendere il destino di questi borghi partendo dalla relazione attuale, conciliandola con quella storica e con il territorio. 
Alcuni, per caratteristiche paesaggistiche, architettoniche, storiche, vivono oggi una dimensione da cartolina.
Ma non tutto può assumere come termine di sviluppo il paradigma turistico tradizionale, sia per mancanza di una vocazione spontanea, sia perché non vogliono trasformarsi in tal senso.
Per esempio, l’anello di Nisi è un percorso circolare di sentieri che connette i quattro centri di una vallata segnata da discreti e inediti landscape, opifici abbandonati, paesaggi agrari, qualche monumento sparso.
E proprio qui, negli ultimi anni, sono nati dei movimenti spontanei che hanno l’obiettivo di valorizzare un turismo di ricerca, pacato, che non si configuri assecondando l’immagine mentale già costruita sui modelli tradizionali.
Se ha un senso che il rilancio di un territorio – come il sistema delle valli ioniche dei Peloritani, la tappa che avvia il viaggio 2020 – passi anche (non solo) dal turismo, è necessario trovare la chiave di lettura corretta e rispettosa, perché si tratta di luoghi inesplorati. 


Il significato attribuito alla parola turismo, destagionalizzato e reso “educato”, va calibrato ai luoghi in termini, non solo funzionali, ma anche coerenti con il temperamento e la vocazione delle comunità. 
Se il turismo è una potenzialità apparentemente spontanea e semplice per orientare il rilancio del Sud, lo sviluppo resta subordinato ai tre elementi fondamentali di crescita: l’infrastrutturazione fisica, anche in questo caso uscendo dall’ovvietà di riaffermare le esigenze di potenziare il collegamento viario e ferroviario, invece analizzando i contesti e individuando quali siano le migliori soluzioni armonizzate con le caratteristiche fisiche dei territori. Quando parliamo di infrastrutturazione fisica, siamo in un tempo che appartiene alla preistoria: in gran parte della Sicilia non sono fruibili i mezzi pubblici, né esiste una vera rete ciclabile, né sono stati valorizzati, se non in piccola parte, luoghi di straordinario fascino per esempio la Magna Via Francigena; la scuola che nel Sud, in questo Sud, più che in altre situazioni, deve farsi carico di trasferire la conoscenza, la consapevolezza e l’orgoglio dei luoghi e l’infrastrutturazione digitale, come generatore di diffusione del Sud verso il resto del mondo.

Fotografia di Stefano Anzini


Quali strategie progettuali si possono mettere in campo per conciliare, per esempio, il potenziamento infrastrutturale con l’amplificazione turistica?
L’approccio è, prima di tutto, culturale: l’infrastrutturazione non serve “ad altri”, ai turisti, ma è funzionale alle esigenze del territorio e delle comunità, perché il primo risultato di una buona infrastruttura fisica è il miglioramento della qualità di vita di ogni singolo cittadino.
Non si tratta di emulare o importare, acriticamente, i modelli nord-europei e dell’area settentrionale italiana, ma di analizzare l’organizzazione delle economie locali e lavorare sugli elementi valoriali, anche in chiave di infrastrutture, per esempio, conservando l’identità del sistema agricolo ed evidenziando la biodiversità del paesaggio.


Il paesaggio è un prodotto unico e irripetibile ed è partendo da questa consapevolezza che si può lavorare sul territorio assumendo la corretta chiave di lettura e intervenendo per valorizzarlo.
Il Sud è una piccola porzione se messo in relazione al tema complessiva della globalizzazione, appare come un elemento di scarso rilievo, ma il suo rilancio può auto-generarsi proprio in contrapposizione ai modelli culturali dei paesi anglofoni che hanno, in questo 2020, mostrato l’enorme limite e incapacità di sostituire il verbo consumare con il verbo vivere.
Il Sud potrebbe essere l’anti-polo della globalizzazione spietata, elaborandone solo gli aspetti positivi, ed emergendo, finalmente, sotto il profilo competitivo.

Fotografia di Stefano Anzini