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BORGHI E PAESAGGI PARLANO DI CALABRIA. MA SONO L’IMMATERIALITÀ E LA SOSPENSIONE LA SUA PERFETTA EPIFANIA NARRATIVA con Michelangelo Pugliese

di ROBERTA DE CIECHI E ALFONSO FEMIA - 19/09/2020

Inaspettate le considerazioni di Michelangelo Pugliese, architetto e paesaggista, docente alla Federico II di Napoli: la mutazione come elemento stabile del paesaggio e la ricerca della bellezza ovunque, anche “nel brutto”

Il Sud è territorio?
Michelangelo Pugliese non ama molto la parola territorio, afferma che evoca “un sapore anni Settanta” e una dimensione “urbanistica”. Preferisce usare “paesaggio”. Perché?

Il paesaggio partecipa a una dimensione diversa rispetto a quella del territorio, con le medesime componenti, fa perno su una comprensione empatica e senza necessità di mediazione linguistica. 
Sul piano del significato, il paesaggio è un sistema di relazioni tra uomo e natura e contiene in sé il termine progetto.
La relazione tra questi tre elementi è in evoluzione continua e questo mette subito in evidenza come l’espressione “restauro del paesaggio” sia una contraddizione in termini.
La mutazione è il carattere primo del paesaggio.
La Calabria è paesaggio che non si può banalizzare con declinazioni opportunistiche legate ai luoghi, ai borghi, alle coste o alle montagne.
Cominciando dai borghi, non stiamo parlando di situazioni idilliache come la parola pare richiamare indipendentemente dai contesti.
In Calabria non c’è un grande desiderio di tornare ai borghi, è più che altro – questa – una distorsione mediatica o un esercizio di equilibrismo tra architettura e marketing.
Spesso i borghi non sono solo luoghi abbandonati, ma anche devastati da un’edilizia impietosamente brutta. Oltraggi compiuti e, purtroppo, sedimentati nel tempo.
La complessità della loro rilettura coinvolge anche il tema di un abitare che la contemporaneità ha profondamente modificato.
Il tema di progetto, come ben insegnano le scuole di architettura spagnole, non è unico, ma si dichiara e si modula diversamente, a seconda dei luoghi e delle situazioni.
Dunque, è diverso, oggi, abitare in un borgo o in piccolo centro. Le azioni da produrre devono essere adeguate e coerenti con la dimensione storica, il passato prossimo e la prospettiva futura.
Sicuramente l’unica cosa che non si può fare è tornare e basta. Come se il ritorno al borgo avesse un valore lenitivo dell’oltraggio e taumaturgico di per sé.
Se l’abitare è mutato e il cambiamento va sostenuto con azioni progettuali, con la stessa attenzione è necessario non banalizzare il processo di attualizzazione, né trasformare l’intervento in un’azione da salotto. Un esempio di buon progetto è quello di Favara Cultur Farm, vicino ad Agrigento, che ha messo in valore culturale un luogo degradato e abbandonato.

Fotografia di Stefano Anzini.


L’esempio di Favara è notevole, ma il punto di partenza aveva dei vantaggi, i cortili moreschi nel centro storico di Favara, la prossimità ad Agrigento …  

I borghi da recuperare non partono tutti dalle medesime condizioni di affascinante abbandono e degrado avvolto dai rovi che celano straordinaria bellezza.
L’intensità di un’anima sospesa esiste, tuttavia, in tutti i centri che sono stati un tempo abitati, un’anima nascosta, talvolta molto nascosta dal “brutto”.
Credo anche che sia un vantaggio lavorare sui luoghi in cui la bellezza è più celata. La ricerca si può affrancare dai vincoli della Sovrintendenza, ma soprattutto da certi approcci culturali che non ammettono il nuovo, né prendono in considerazione l’imprevedibilità di un pensiero progettuale modulato sul paesaggio e sulle comunità.


Il nostro progetto, Mediterranei Invisibili, ha il merito unico di svelare il bello dietro il brutto, di non temere di incontrare visioni più vicine a uno scenario di desolazione che al bosco della Bella Addormentata.
Tutto questo è l’autentico Sud di oggi, Sud che convive con il brutto, che, a sua volta, convive con paesaggi meravigliosi, lingue di mare e di luce.
È la realtà del Sud, anch’essa da valorizzare e dalla quale non si può prescindere, perché è in questa realtà che vivono le comunità, memoria del passato ed energia per il futuro, vera forza del Sud.
È la dimensione immateriale che filtra la bellezza dei paesaggi e dei borghi e che rende tutto più chiaro e leggibile, una visione che esce dallo stereotipo della cartolina.
Il lavoro per l’architetto diventa più difficile perché è un impegno di ricostruzione dell’immateriale dei territori, soffocato da etichette e prospettive che ne hanno stravolto l’anima.


In questo bilanciamento di necessità e di desideri, un ruolo essenziale gioca il Tempo.
È diverso il tempo al Sud, ma non è più lento, come spesso si usa dire. È un tempo non lineare che vive di compressioni e dilazioni, in alcuni momenti si introietta rapidamente e in altri si decanta: le azioni si combinano nell’equilibrio di questi tempi dal quale si genera l’azione progettuale.
Particolarmente oggi è importante che l’architettura scenda dal podio, sia coraggiosa, assuma rischi, ammettendo anche la possibilità dell’errore.

Fotografia di Stefano Anzini.