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UN GIGANTE CHE GUARDA VERSO IL MARE E LA PIANA ALLE SUE SPALLE: GIOIA TAURO, UN LUOGO UNICO TAGLIATO IN DUE, RAPPRESENTAZIONE E DESTINO DI UN SUD FATTO DI ILLOGICHE SEPARATEZZE. CHE L’ARCHITETTURA PUÒ CAMBIARE con Giovanni Multari

di ROBERTA DE CIECHI E ALFONSO FEMIA - 20/09/2020

Giovanni Multari, architetto, docente alla Federico II di Napoli, pensa che la rigenerazione sia un programma da attuare a piccoli passi, ricorrendo a soluzioni alternative: non si fa il Ponte? riqualifichiamo – subito – Villa San Giovanni. Non funziona l’industria? puntiamo tutto sull’agri “cultura”.

Mediterranei Invisibili è dialogo, confronto, indagine. È viaggio e rivelazione dell’invisibile di Sicilia e Calabria. È tutto questo, ma è soprattutto un modo per riconoscere e riaffermare l’identità forte di luoghi timidi, che cercano una sincronia sostenibile con il tempo corrente.
Il Mediterraneo è un tema vasto che appartiene a molte culture, segnato da differenti geografie, accomunato da aspetti “invisibili”, contraddizioni e armonie.
Il Mediterraneo dello Stretto è un luogo celato e schivo, nonostante sia ancora un grande crocevia e un polo transnazionale.
Nel cuore di questo Mediterraneo, del Sud, Rosarno, la piana e il porto di Gioia Tauro sono un’incredibile aggregazione di magistrali eufonie visive e olfattive e, insieme, di disarmonie stridenti e di affanni urbani.
Gioia Tauro è un centro geometrico, ma anche un generatore di significati economici e politici. Luogo di mancate strategie e di occasioni perdute.
Il porto di Gioia Tauro è un gigante rivolto solo verso il mare, volta le spalle alla terra, perché genera poco indotto, è autosufficiente nella funzione e nell’organizzazione ed è più incline a guardare verso il canale di Suez o verso Gibilterra che verso la sua piana.
Allargando lo sguardo intorno, subito emergono le ricchezze di luoghi straordinari, quelli che sempre hanno alimentato la Calabria. Un mondo prevalentemente agricolo, che il contesto ambientale calabrese rende fertile per una evoluzione che si può contaminare positivamente con l’architettura.


In Calabria e in tutto il Sud l’architettura assume il senso di cura del territorio e delle comunità, diventa agri-cultura
Dobbiamo spendere le tradizioni che abbiamo, valorizzarle e farle conoscere: le ultime vicende pandemiche hanno confermato la capacità calabrese di essere un incredibile bacino di energie ed evidenziato che la regione può essere autosufficiente.
La difficoltà infrastrutturale ancora esiste, ma stiamo lavorando, a piccoli passi: per esempio le nostre montagne non sono più inaccessibili, il CAI (Club Alpino Italiano) ha tracciato la maggior parte dei sentieri e aperto la via di un turismo appassionato, rispettoso dei luoghi.
E in queste nostre montagne sono incastonati luoghi solo parzialmente antropizzati che rivelano un patrimonio autentico di cultura e tradizioni. È una realtà monumentale unica, quella della catena silana, che fa il contrappunto con la costa, elemento di soglia del Mediterraneo, dove la progettualità si orienta ai temi necessari dell’ecologia e dell’ambiente.
In quest’estate strana, prima fase di convivenza con il coronavirus, la Calabria ha avuto un momento di grande riscatto, vissuta in ogni sua parte, visitata da turisti di tutta l’Italia e frequentata anche da qualche presenza europea.
Un segnale di attenzione, di apprezzamento, un primo passo per prendere – di diritto – posto in una geografia europea, anche attraverso il turismo.

Fotografia di Stefano Anzini.


Si parte dal turismo per arrivare dove?
I processi di rigenerazione urbana non sono fatti solo di grandi trasformazioni. Alle opere imponenti (complesse e difficili da mettere a punto) si affianca un lavoro piccolo e costante che penetri anche nelle propaggini territoriali meno visibili e che apra canali di comunicazione culturale e fisica sconosciuti.
Abbiamo un lavoro infrastrutturale già fatto, che funziona e che va messo a sistema con quello che ancora manca.
La dorsale ionica soffre di più, ma quella tirrenica è molto dinamica e anche da queste differenti velocità dei luoghi emerge una bellezza inconsueta, la consapevolezza di una diacronia che genera evoluzioni positive dalla contraddizione: Paola, Crotone, Lamezia, Catanzaro, Reggio …
Esistono delle condizioni territoriali che si possono migliorare senza che siano necessarie grandi trasformazioni, rigenerando dal basso e coinvolgendo le comunità e i cittadini.

Footografia di Stefano Anzini.


Facciamo un passo indietro, come convivono le diverse anime del medesimo territorio?
A volte sono separate, a volte si intersecano.
Il porto di Gioia Tauro andrebbe meglio connesso con la piana.
E se la miglior industria della Calabria è l’agricoltura, il sistema agricolo deve essere messo in evidenza e valorizzato a partire dalle coltivazioni fino alla silvicultura, considerando che creano un indotto economico importante, con un export attivo in tutto l’Europa.
Ma soprattutto, proprio per conciliare le diverse anime, non fermiamoci mai e procediamo a piccoli passi: non si fa il Ponte sullo Stretto? riqualifichiamo Villa San Giovanni, attrezziamolo come luogo di transito, immaginiamo una grande darsena e replichiamo il medesimo programma a Messina, per dare efficienza ai due approdi.
Prima di pensare a nuovi progetti, facciamo una ricognizione sull’esistente, sui luoghi abbandonati e sui cantieri non finiti.
Creiamo un tavolo di persone che vivono le comunità, non ci servono le soluzioni prefabbricate e somministrate dall’alto.
Coinvolgiamo una rete di imprese sul territorio, affrancandoci da un sistema governato da una politica di favori che ha rovinato l’Italia tutta e in particolare il Sud.