A COSA SERVE LA BELLEZZA NELLO STRETTO DI MESSINA, SPIEGATO BENE DA ANNA MALLAMO
Messina è una città dolente. Talmente dolente che si fatica a vederne la bellezza. A Reggio, la nuova passeggiata con l’opera di Tresoldi, segno di crescita e speranza urbana, incontra la spazzatura abbandonata agli angoli delle strade.
Con Anna Mallamo, giornalista della Gazzetta del Sud, parliamo di visioni a senso unico che chiudono lo Stretto all’angolo, ma anche di un futuro reso possibile dalla sua Bellezza
Fondazione Italia Patria della Bellezza ha lanciato un bando “Comunicare Bellezza”, un programma di sostegno ai progetti culturali e territoriali in tutta Italia, una sorta di messa a terra di un valore storicamente apprezzato nelle sue declinazioni artistiche, ambientali e culturali, ma che non appartiene alla sfera dei bisogni primari individuali e sociali.
Intorno alla parola bellezza si usa un linguaggio denso di stratificazioni prefabbricate.
La bellezza sta nel turismo, nella storia, nel paesaggio, nel design, nella scienza e nella tecnologia, nella manifattura e nel cibo. Nei libri, nella poesia, nella fotografia. Negli uomini, nelle donne, nei bambini e nelle bambine, negli animali e nelle piante.
Quasi sempre è una bellezza aggettivo, un’attribuzione di carattere visivo o intellettuale a un soggetto definito.
Anna Mallamo, giornalista della Gazzetta del Sud, reggina di nascita, messinese di adozione, strettese per passione, pensa che la bellezza sia necessaria quanto il cibo, l’acqua e l’aria. Sostanzialmente quanto quello che ci tiene in vita. Anna lo sostiene partendo dagli effetti che provoca il suo contrario: desolazione, degrado, abbandono.
Dice “Il paesaggio è una determinante dell’anima” e pare quasi un’affermazione dovuta, parlando dei luoghi di Scilla e Cariddi. “Mi trovo a combattere quotidianamente con l’oblio che pervade chi vive nello Stretto e causa una cecità progressiva e selettiva: il degrado ha la meglio, si distoglie lo sguardo dal paesaggio, dunque si perde l’anima.
E da quel momento, sei in grado di vedere e raccontare solo il brutto e nel racconto è inclusa una forma di compiacimento del dolore e della tragedia che conduce all’inazione.
La prospettiva si chiude, lo Stretto è un territorio da abbandonare o da subire.”
Futuro e Stretto: come si crea la connessione tra tempo e luogo che pare mancare?
La sola via pare essere quella del ponte sul quale si vagheggia dalla metà del Novecento, mai costruito e questo è già un buon motivo per lamentarsi. Negli ultimi decenni il ponte è diventato “il significato” alla disperata ricerca di un significante collettivo, unico possibile riscatto.
È chiaro che esistono molte altre forme di emancipazione: la passeggiata mare di Reggio Calabria, con l’opera di Tresoldi, ne è un esempio, perché i reggini – non solo i turisti – la apprezzano e la vivono, sostengono le attività commerciali di prossimità, generano ricchezza e lavoro. Anche se, dietro l’angolo, ci sono i cumuli di spazzatura che non viene smaltita e quando dai le spalle al mare, la cortina di edifici che vedi è un tessuto di segni scuciti con cui ti devi misurare ogni giorno.
In passato, Messina è stata una grande città. Ai tempi del terremoto del 1908 era il terzo porto del Mediterraneo. Non voglio fare qui un condensato di storia ma, per esempio, prima del 1908, per nove chilometri, si estendeva, sul lungomare, una Palazzata, una successione di edifici continui, costruita agli inizi dell’Ottocento, meglio conosciuta come Teatro Marino, che accoglieva una serie di funzioni -residenze, silos, magazzini.
Un’architettura d’avanguardia nel pensiero, che prendeva il posto di un’altra Palazzata, di origine molto più antica, danneggiata dal terremoto del 1783.
Alla fine del Settecento, si decise di ricostruire la Palazzata e, in termini generali, tutta la città, conservando l’assetto e l’aspetto precedente, ma dopo il 1908 si fecero scelte diverse.
È pluridecennale, quasi secolare, la mancanza di visione dell’amministrazione messinese. Vent’anni fa, per esempio, la linea del tram è stata realizzata sulla litoranea, nonostante fosse stata individuato un percorso meno invasivo. Si è trattato di una scelta miope, considerando che, negli ultimi decenni, le città costiere si sono impegnate ad abbattere gli ostacoli tra città e mare. Reggio e la sua passeggiata ne sono una dimostrazione, geograficamente vicina. Il tram sulla litoranea ha avvilito ulteriormente una Messina già sofferente.
Il passato di Messina è il suo paesaggio, colline azzerate, colline ricostruite.
I messinesi si muovono tra il ricordo del passato e quello che genera lo sguardo: due memorie che producono un permanente senso di sradicamento.
Prima del 1908 c’era un modo di dire qui a Messina, per indicare uno stato di negatività, “fare più danni del 5 febbraio (giorno del terremoto del 1783). Non è solo un riferimento alla cultura popolare, rappresenta quasi un’evidenza antropologica di come “il danno” subìto abbia offerto ai messinesi il pretesto per non combattere, l’alibi per non reagire, facendo dell’inazione una categoria del vivere. Con il secondo terremoto, ancora di più, l’identità si è persa nei crolli e non c’è desiderio di recuperarla
Quello che è stato costruito – la geometria, le altezza, i materiali degli edifici – agisce sulla sensibilità percettiva delle persone, creando emozioni di positività o disagio quotidiano. Si subisce e ci si abitua agli elementi più disturbanti, alle dissonanze visive, alla mancanza di connessioni tra i brani della città, il verde, il mare.
Questo è accaduto a Messina.
Come funziona per chi resta?
La Restanza, parola efficace nel suono e nel significato, è una scelta complicata e piena di rischi.
Vittorio Teti – antropologo – parla dell’avventura del restare” (al Sud n.d.r.): “la fatica, l’asprezza, la bellezza, l’etica della «restanza» – non è meno decisiva e fondante dell’avventura del viaggiare. Le due avventure sono complementari, vanno colte e narrate insieme”.
Il rischio è quello dell’assuefazione, della mancanza di visione fino ad arrivare alla cecità totale.
Creare una condizione culturale che costringa gli strettesi a guardare lo Stretto – conoscerlo e riconoscerlo – significa progettare un intervento culturale radicale, attivatore di un processo di rivitalizzazione continuo, non episodico, finalmente risolutore.
La capacità di vedere la bellezza dello Stretto, di Messina, di Reggio va sollecitata di continuo, perché è da troppo tempo soffocata non solo dal suo contrario, il brutto stratificato, ma ancora di più dall’inazione.
I costruttori di bellezza – scrittori, artisti, architetti – provano a dare dei colpi di frusta per riassestare lo sguardo dei loro conterranei, per rivelare l’immateriale a chi osserva da lontano, affascinato dalle leggende, timoroso di restare deluso.
Come ha fatto Nadia Terranova nel libro Addio Fantasmi e nella graphic novel Caravaggio e la ragazza (in tandem con Lelio Bonaccorso), con bellissimi disegni di Messina.
Tornando al punto da cui è partita questa riflessione e alla domanda – come funziona per chi resta – la necessità della bellezza deve trovare una sintesi con l’economia.
L’architettura è, potenzialmente, uno degli elementi di equilibrio e conciliazione: innesta ex novo e integra le funzioni del vivere in contesti urbani di buona qualità formale in dialogo permanente con il costruito del passato e con l’ambiente naturale.
Sotto il profilo naturalistico, lo Stretto è una miniera d’oro da mettere a reddito, possibilmente non (solo) con la logica del “turismo da mungitura”, assegnando una manciata di metri quadrati di litorale a turisti assetati di sole e mare, sul modello B-movie.
Non è questo che serve agli Strettesi. Ci sono alternative che possono essere messe in campo per un turismo in cui la spiaggia sia pausa, non obiettivo: per esempio percorsi territoriali, percorsi sulla traccia delle residenze di artisti, escursioni naturalistiche ….
Questa bellezza celata, che già esiste, è diventata invisibile perché è stata mortificata da altre scelte che lo Stretto – Messina, ma anche Reggio – ha inflitto a se stesso.
Quello che emerge è l’abusivismo e una bruttezza mostruosa. Persino l’abitare ha una dimensione misera. La pervasiva speculazione ha generato un senso del possesso senza bellezza.
Ci sono, fortunatamente, molti progetti in corso …
Qualcosa è stato fatto, ma molte cose sono state lasciate a metà o interrotte. Ci sono ancora chilometri di costa da recuperare. Manca una visione politica ed economica. Quando una giunta è concentrata a difendere se stessa, non si impegna in opere importanti, ma nel rassicurare l’elettorato nel breve.
Il lavoro manca, il lavoro è priorità.
Deve essere così.
Ma “il lavoro” non è una categoria isolata. È la progettualità in settori diversi che produce lavoro. Gli strettesi hanno una miope ossessione sul “ponte” come generatore di occupazione per anni a venire, prima ancora che come elemento di connessione.
Senza considerare che oggi, in una logica di transizione ecologica, si tratterebbe, forse, di una scelta depauperante per i territori.
Con la costruzione del ponte aumenterebbe il traffico sia dei veicoli pesanti, sia dei veicoli leggeri, una visione ancorata al passato, mentre le linee guida del Green Deal europeo impongono di ridurre il trasporto su gomma.
Manca l’elaborazione culturale per qualsiasi scelta di futuro che, come conseguenza, si affievolisce sempre di più, perché non esistono le condizioni di una “restanza” serena. Le giovani generazioni non sono messe nella condizione di amare i loro luoghi.
Cosa pensi del tema della conurbazione tra Reggio e Messina? Ci sono rischi di forzature?
Gli strettesi condividono il sistema ecologico e paesaggistico dello Stretto, ma da punti di vista differenti. Da Messina, per esempio, vediamo Villa San Giovanni, non Reggio.
La Sicilia è un’isola, Reggio sta in una penisola. Gli approcci sono diversi, ma questa eterogeneità è un valore da conservare.
L’ecosistema dello Stretto è un patrimonio incredibile da osservare, comprendere, conservare.
È importante non trascurare l’obiettivo e formulare buoni progetti per un territorio avvilito.
Per attirare il capitale, abbiamo così tanta cultura, memoria, bellezza ed è questo che importa.
Molta della bellezza dello Stretto sta più nei borghi che nella città. In che misura è immaginabile un sistema borghi?
Il progetto di una relazione tra borghi e città, sviluppato sulle infrastrutture fisiche e su quella digitale, sulla messa in sicurezza dai rischi idrici, ha grandi potenzialità. Sotto il profilo economico è la dimostrazione che la bellezza del territorio può creare ricchezza stabile, indipendente dalla stagionalità turistica.
Le città più marginali, come Messina, possono dire molto su un possibile binomio borghi-città, non come scelta alternativa, borghi o città, ma come sistema di relazioni che si attiva a scale differenti per distanza e tempo.
È fondamentale partire dalle realtà culturali che amplificano le specificità del territorio in modo attivo e concreto e rappresentano il bello che avanza.
Anna Mallamo, “strettese” (reggina, vive a Messina da molti anni), lavora come giornalista alla Gazzetta del Sud, dove dirige il settore Cultura e spettacoli. Ha tenuto una rubrica fissa per alcuni anni su “L’Unità” e ha un blog sull’Huffington Post. È molto attiva sui social, con l’account @manginobrioches.