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AMARLA COSÌ COM’È SENZA GUARDARE INDIETRO. ANNAROSA MACRÌ RACCONTA LA SUA CALABRIA. IN UN ALTRO MODO

Della Calabria sappiamo alcune cose belle e molto belle e tante cose brutte. Ma, spiega Annarosa Macri, reggina, giornalista Rai e scrittrice, nessuno la racconta mai come una regione normale. Come le altre 20 d’Italia

Con Annarosa Macrì abbiamo parlato di Mediterranei (visibili e invisibili), di Calabria, di Reggio, la sua città natale, dello Stretto e di quello che, in quei luoghi, c’è da amare.

Quasi tutto – secondo Annarosa – non solo il buono e il bello, ma anche – e di più – il brutto e quello che non è né bello, né brutto. Perché solo così si hanno tutti gli elementi per raccontarla e farla conoscere veramente.

Nel tuo libro “Da che parte sta il mare” scrivi: “era il 1956 e il capanno era ai Bagni Procopio della punta estrema della Calabria, davanti alla Sicilia e al suo mare. Era la vigilia del boom economico ed era un pezzo di un Sud pieno di ferite e lontanissimo dal resto del Paese.” Quando ancora sono aperte le ferite e quanto è distante la Calabria dello Stretto, a distanza di più di 60 anni?

“La Calabria è, a pieno titolo, una regione italiana, europea e mediterranea. Non è centrale ed è questa un’evidenza e un’ovvietà geografica, ma è sicuramente una regione importante: sotto il profilo dell’economia marittima, il porto di Gioia Tauro è tra i dieci maggiori porti europei; sono quattro le accademie che garantiscono una formazione di eccellente livello, l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, l’Università di Catanzaro, l’Università della Calabria a Rende (Cs) e l’Università per stranieri Dante Alighieri a Reggio Calabria.

A Reggio c’è il più importante Museo Archeologico Nazionale e un museo di arte contemporanea unico in Europa, il MuSaBa a Mammola.

Una ricchezza notevole, particolarmente sotto il profilo culturale, soprattutto pensando allo specifico territoriale, Aspromonte, Pollino, coste e piana e considerando che sono 404 i comuni calabresi e meno di due milioni gli abitanti di tutta la regione.

Le scuole superiori distribuite nel territorio sono fucine di pensiero giovane e originale con insegnanti motivati e studenti che si muovono in una dimensione europea, non specificamente locale.

In questi termini, la Calabria non è distante dall’Italia, né dall’Europa più di quanto lo siano altre regioni, e non è certo “mediterranea fuori dal Mediterraneo”.

Visto da fuori, la costa ionica e l’area dello Stretto vivono una contraddizione in termini: sono stati il magnete del Mediterraneo, ma poi qualcosa si è rotto e la percezione dei luoghi è completamente cambiata. L’incanto paesaggistico/ culturale è stato inquinato, non solo dalle ferite sul territorio, ma anche da un’attribuzione di negatività che viene continuamente rinnovata e si è ormai cronicizzata. Visto che architettura, storia e cultura sono riferimenti immutabili, possono essere la via di fuga per consentire a questa parte di Sud di ri-affacciarsi all’Europa e al Mediterraneo?

Il tema della Calabria ferita riguarda tutta la regione ed è talmente stressato da essere quasi abusato: la terra senza possibilità di riscatto che viene abbandonata dai giovani! Fermiamo questa emorragia!

Ma realmente accade questo? I giovani non se ne vanno dalla Calabria in un processo di depauperamento specifico del territorio. Se ne vanno perché guardano all’Europa e al mondo, così come, in questo momento storico, fanno tutti i giovani ovunque in Italia, in Europa. Semplicemente per la mutazione e l’evoluzione sociale in corso e per una multifattorialità di cause e situazioni.

In questa storia, reiterata a ogni occasione, in questa lamentazione dell’abbandono della terra, c’è un’enorme retorica che pesca (anche) in una visione culturale e narrativa in cui il racconto del reale attraverso la finzione letteraria non si aggancia mai alla contemporaneità, ma al passato.

Scultura sulla via Marina a Reggio Calabria. Foto ©Salvatore Greco.

I valori e i temi della Calabria contadina parlano di una regione povera e piena di malattie e di difficoltà: per quale motivo le persone giovani con l’intensa progettualità che caratterizza questa fase della vita dovrebbero pensare a situazioni dense di negatività e non a un futuro che possono meglio comprendere, che si esprime con il loro linguaggio ed è pieno di opportunità?

Bisogna cambiare lo sguardo, assumere un diverso punto di vista.

I paesi si spopolano spontaneamente perché così come un tempo (lontano) l’aggregazione dell’abitare nei borghi era una risposta alle esigenze delle persone, oggi queste dimensioni si sono esaurite e se ne sono sostituite altre.

È un mondo finito, i tentativi di resuscitarlo falliscono o scadono in grottesche rappresentazioni da outlet americano.

Non è negazione della loro bellezza e della memoria: anzi la proposta innovativa e utile per far crescere la Calabria in un processo di autogenerazione della ricchezza territoriale è quella di cristallizzarli nella loro morte, senza concedere a uno sgraziato uso contemporaneo il degrado del paesaggio e dell’originalità dei luoghi.

Un’anziana signora di Africo, che incontrai tempo fa, e alla quali rivolsi compassionevoli parole per il forzato abbandono del paese, mi raccontò che, da un certo punto di vista, l’alluvione era stata quasi una benedizione, perché nel paese vecchio si viveva come animali, non c’erano servizi essenziali che il modello di vita attuale ha reso indispensabili e irrinunciabili.

Non ha alcun senso sociale e politico, ma neppure architettonico o artistico, negare l’evoluzione e il cambiamento quotidiano: la cultura sociale va avanti e tutti hanno bisogno di avere la farmacia, l’ospedale, la scuola, ma anche il teatro e la biblioteca (e tutti gli altri servizi) vicini.

Bisogna semplicemente guardare a una Calabria europea e che non sta certo tradendo il suo passato per assumere una legittima posizione geopolitica.

Come si può raccontare la Calabria, la Calabria dello Stretto in “un altro modo”, per uscire da stereotipi e visioni, talvolta già superate?

La Calabria è mediterranea, non primitiva o antica e il modo migliore per viverla è non arretrare e indulgere a nostalgie tanto raffinate quanto incongruenti con il tempo attuale.

Per scorciare le distanze la Calabria sta già lavorando molto bene, resta da combattere la retorica e la finzione, perché, ancora oggi, facciamo riferimento a modelli antropologici che non appartengono più a nessuno.

E poi essere, qualche volta, indulgenti: per esempio, spesso, ho pensato che il meraviglioso castello di Scilla, arroccato sulla scogliera, agli antichi reggini dovesse sembrare un’aberrazione visiva … un ecomostro.

Il castello Ruffo a Scilla. Foto ©Salvatore Greco

Talvolta il tempo restituisce valore e dignità, particolarmente a quello è stato funzionale alla vita delle persone, non certo agli interventi speculativi e deturpanti.

Potremmo dire che esistono due tipi di brutto: quello generato dallo sfruttamento, senza ammenda e il brutto dignitoso e proprio di quest’ultimo ci si può anche innamorare.

Raccontare la Calabria con sguardi differenti contribuisce a farne una regione diversa.

Sono i libri e i film che cambiano la percezione dei luoghi più dei giornali e della cronaca.

In Calabria non si racconta la contemporaneità quotidiana e urbana, si rimane ancorati a una meta-letteratura che pesca nel passato e nelle negatività: quasi tutti i romanzi, per esempio, sono ambientati in “postacci” o in luoghi di sofferenza e di fatica.

Mafia e ‘ndrangheta non sono la misura della Calabria e i calabresi non possono essere categorizzati in vittime, delinquenti o poliziotti. Sono persone normali, affatto differenti dai pugliesi o dai toscani o dai lombardi.

Attraverso la narrazione urbana, si può trasmettere a chi è ammalato di pregiudizio che i calabresi sono persone normali.

E potrebbe essere questa una chiave di comprensione che contribuisce a mediare tra il vittimismo e quell’orgoglio calabrese che usa il comparativo di maggioranza come codice espressivo universale: in Calabria ci sono i paesaggi più belli, il cibo più buono, il clima migliore …

I paesaggi della Calabria sono sicuramente bellissimi, ma forse non sono i più belli in assoluto, così come i dolci, il clima … pare quasi che si esprima così una sorta di sindrome da risarcimento per il “brutto” sociale, politico, criminale, edilizio

Guardando ancora più a Sud, parafrasando Giuseppe Smorto, l’area dello Stretto è un’altra Calabria?

La Calabria, particolarmente l’area del reggino, è intimamente connessa con la Sicilia. È una sorta di matrioska territoriale l’area dello Stretto e i calabresi, particolarmente i reggini in trasferta, si sentono a casa quando possono finalmente traguardare le coste della Sicilia.

Le coste ioniche di Calabria e Sicilia. Foto ©Salvatore Greco.

Un riconoscimento visivo che esprime un senso di appartenenza culturale che è una condizione identitaria unica e straordinaria.

Grazie ad Annarosa Macrì per il suo prezioso contributo.

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COSA È E COSA NON È LA CALABRIA OGGI E COSA SERVE DAVVERO AI CALABRESI, SECONDO GIUSEPPE SMORTO

Infrastrutture sociali, scuole, ospedali: sono le fragilità della Calabria che condizionano lo svolgersi di un quotidiano dignitoso per i cittadini e che inibiscono la crescita e lo sviluppo.
Prima ancora delle strade e dei ponti, impediscono alla Calabria di guardare fuori, in direzione Europa e mondo.
Apriamo la quarta edizione di Mediterranei Invisibili con la speciale partecipazione di Giuseppe Smorto, a Sud del Sud, tra diavoli e resistenti

Giuseppe Smorto è stato vicedirettore de’ “La Repubblica” e direttore di Repubblica on line fino al 2020. Giornalista di alto profilo, calabrese di nascita, racconta una Calabria polifonica, in cui la disarmonia, “dei guasti mai riparati” si combina con la melodica “sorpresa” che coglie il visitatore quando incontra la bellezza delle coste, delle montagne, ma anche della Reggio Calabria liberty, del Musaba, della Casa della Memoria di Mimmo Rotella …

“La bellezza in Calabria è pura geologia”  scrisse Corrado Alvaro

Giuseppe Smorto, che è anche autore del libro “A sud del sud. Viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti”, inizia con questa citazione la nostra chiacchierata.

In una splendita piazzetta di Fiumefreddo Bruzio, in primo piano l’antropologo Vito Teti e Giuseppe Smorto, durante una presentazione del libro.

“L’elenco dei luoghi belli per architettura, arte e “pura geologia” è lunghissimo, ma non riesce ancora a controbilanciare e a ridurre al silenzio la cronaca nera e grigia che è, dal secondo dopoguerra, il tratto distintivo della Calabria.
La sua mancata valorizzazione non è conseguenza solo di una scadente strategia di comunicazione. Molto dipende dall’imperante burocrazia del declino che sta continuando a confinarla in un recinto locale e a ostacolarne la proiezione verso l’Europa e verso il mondo.

Reggio Calabria è plasticamente la rappresentazione della sua regione. Dopo il terremoto del 1908, che la colpì ferocemente insieme a Messina, il centro della città venne ricostruito da architetti e artisti del Liberty che la trasformarono in un luogo unico, con un orto botanico all’aperto e un waterfront urbano vivibile e accogliente.
In seguito, lo sviluppo fu disordinato, il verde passò in subordine nella pianificazione urbana, quasi la linea blu del mare potesse compensarne la negazione e l’avvilimento. Oggi Reggio Calabria è una città a due facce, una delle quali soffre dell’azione dell’uomo che ha oltraggiato l’ambiente naturale. A questo drammatico risultato si è arrivati per una duplice mancanza di controllo sia architettonico, sia giudiziario e di governance”.

Con Giuseppe Smorto abbiamo parlato delle straordinarie potenzialità della Calabria, delle energie che ci sono e di quelle che mancano e soprattutto delle silenziose emergenze permanenti.

UN NON FINITO CHE È ANCHE PARADOSSO DELLA CALABRIA

Quella del non finito calabrese non è neppure più cronaca, arretrata a desolante routine territoriale per la numerosità, ancora oggi crescente, delle situazioni.
Ma la storia dell’incompiuto Palazzo di Giustizia pare quasi fatta apposta per un libretto teatrale e Giuseppe Smorto la racconta, in viva voce, con evidente rammarico. “Il Palazzo di Giustizia è un complesso di edifici di dimensioni notevoli, finalizzato a contenere 630 uffici. Un senso nell’immaginarlo c’era: in un unico luogo si sarebbero riunite tutte le funzioni giudiziarie, attualmente sparpagliate in sedi diverse nella città, la Procura, la Corte d’Appello, il Tribunale dei Minori e di Sorveglianza.”

Quella del non finito calabrese non è neppure più cronaca, arretrata ormai a desolante routine territoriale

Esito di un concorso internazionale, la costruzione dell’architettura di vetro e metallo (facciate continue a cellule in alluminio, vetro e marmo con aperture) venne iniziata nel 2005, su progetto di Manfredi Nicoletti capogruppo (architetto e accademico italiano, morto nel 2017, già progettista del Nuovo Palazzo di Giustizia di Arezzo).
Completato per l’80 per cento, il cantiere è fermo dal 2012, ennesima opera incompiuta a incrementare il “non finito” calabrese, che pare irridere a qualsiasi proclama di cambiamento e impegno, vista la destinazione d’uso finale.

Esito di un concorso internazionale, la costruzione dell’architettura di vetro e metallo (facciate continue a cellule in alluminio, vetro e marmo con aperture) venne iniziata nel 2005, su progetto di Manfredi Nicoletti capogruppo (architetto e accademico italiano, morto nel 2017, già progettista del Nuovo Palazzo di Giustizia di Arezzo).
Completato per l’80 per cento, il cantiere è fermo dal 2012, ennesima opera incompiuta a incrementare il “non finito” calabrese, che pare irridere a qualsiasi proclama di cambiamento e impegno, vista la destinazione d’uso finale.

Ci spiega Smorto che il “non finito calabrese” (e di molti altri luoghi del Sud) è segno della mancanza di attenzione delle istituzioni, ma anche dell’atteggiamento di rinuncia dei cittadini che, stremati da decenni di malgoverno, non si oppongono al diffuso degrado territoriale, con azioni efficaci.

Ecomostro a Riace, esempio di “non finito” calabrese. Foto di Salvatore Greco.

L’incompiuto diffuso in Calabria (seconda per opera non realizzate, preceduta solo dalla Sicilia) è un aspetto talmente caratterizzante della regione che viene elevato al rango di arte, analizzato nelle sedi accademiche e valorizzato in mostre fotografiche.

“Tuttavia, nonostante questa creativa e consolatoria interpretazione, è innegabile che alcuni “non finiti” ormai celebri, deturpino il paesaggio, solo per fare alcuni esempi il non hotel a Riace Marina” – che, come hanno affermato gli attivisti del WWF Calabria è un luogo simbolo di una ferita, di un torto alla bellezza – “oppure il tronco di molo costruito negli anni Settanta, devastando la scogliera, come incipit del mai completato porto marittimo di Bova Marina.
Dove non è più possibile intervenire o dove non ha senso sanare, bisogna abbattere i residui fatiscenti e inquinanti del paesaggio e dell’ambiente.
Sono guasti mai riparati che contribuiscono a fare della Calabria una regione “a macchie” sia per gli aspetti paesaggistici, sia per gli aspetti politici.”

Ma ci sono anche numerose “macchie” virtuose: Smorto ricorda il MuSaBa, nella vallata del Torbido a 10 chilometri dal mar Jonio, importante perché è una sintesi della trasformazione positiva di un luogo e, insieme, un’esperienza che guarda e dialoga direttamente con l’Europa, bypassando la dimensione locale e nazionale.

Alfonso Femia con Nik Spatari (morto nel 2020). Nella prima edizione di Mediterranei Invisibili, nel 2018, una delle tappe più significative fu quella al MuSaBa, parco d’arte con opere monumentali e architettoniche, a Mammola, sul versante ionico calabrese. Il recupero dell’area monumentale storica è parte del progetto in un processo di interconnessione fisica tra passato e presente.
Nik Spatari ha integrato la Calabria in una visione internazionale, legando e distinguendo i lasciti di una civiltà millenaria con il farsi dei nuovi linguaggi dell’era tecnologica e della virtualità.

COSA SERVE ALLA calabria PER DIVENTARE CALABRIA

Si costruirà molto in Calabria, in Italia e nel mondo. Lo afferma il Cresme, Centro studi italiano che si occupa dell’andamento del mercato delle costruzioni a livello mondiale, nel suo ultimo Rapporto Congiunturale: la percentuale relativa alle costruzioni pesa sulla crescita complessiva del Pil con una previsione superiore al 6 per cento per Italia, Francia, Regno Unito e States e al 7 per cento per Asia e Australia.

Sul sito del Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale si legge che saranno 213 i miliardi destinati al Sud nei prossimi anni e che l’Unione europea chiede di ridurre i divari territoriali con azioni effettive e riforme efficaci, non già con una mera ripartizione contabile delle risorse. Questo, unito al vincolo temporale d’uso di cinque anni dei fondi del Pnrr, potrà essere uno stimolo concreto considerando, come ha ricordato di recente il Presidente del Consiglio Draghi, le “storiche difficoltà del Sud di assorbimento dei fondi pubblici”.

L’attenzione mediatica si è subito concentrata sulla grande lacuna storica del Sud, la mancanza di infrastrutture, strade, autostrade, ponti, “il ponte” …, sulla necessità, non solo di ampliare la rete, ma anche sul monitoraggio della stabilità strutturale e sulla manutenzione dell’esistente.
Verrebbe da dire, sacrosanto.

Giuseppe Smorto riflette su questa pretesa urgenza e rovescia i termini dell’analisi: certamente è una necessità innegabile, ma pensando alle priorità dei cittadini calabresi, immediatamente emerge che il primo bisogno da soddisfare è quello di costruire e rendere dignitose le infrastrutture sociali, particolarmente scuole e ospedali.
“Creare una condizione minima al vivere i luoghi, sviluppando e moltiplicando sanità e istruzione, è premessa necessaria per un sano mercato del lavoro locale, per una paritaria relazione con il Paese e per un dialogo diretto con l’Europa e con il Mediterraneo prossimo.
Sul costruire futuro, prima di partire con progetti nuovi, c’è da lavorare su quanto è stato intrapreso ed è fermo. E ancora è fondamentale ragionare sull’industrializzazione fallita che ha lasciato carcasse e residui fisici, addizionale scempio al non finito, in luoghi che hanno diritto e qualità di rinascere in altro modo. Per mettere insieme questi indispensabili progetti, è necessario un rigoroso controllo politico e giudiziario perché i lavori pubblici sono tra i maggiori oggetti di interesse di mafia e ‘ndrangheta”.

Infrastrutture sociali, particolarmente scuole e ospedali, sono le prime necessità dei calabresi, premessa necessaria per una relazione paritaria con il Paese e per un dialogo diretto con l’Europa e con il Mediterraneo prossimo.

CONNESSIONI: ACQUA – CALABRIA – EUROPA

Dissesto idrogeologico, dighe, carenza ed eccesso d’acqua: in Calabria si sommano tutte queste situazioni che si impongono come argomenti di pubblico dibattito solo quando insorgono difficoltà stagionali e ambientali.
Mettendo le emergenze temporaneamente a margine, il problema acqua è una costante da affrontare e risolvere, non solo perché danneggia agricoltura, turismo, e quotidiano domestico, ma perché concorre all’inadeguatezza nazionale nei confronti dell’Europa.
Secondo Ispi, la carenza di depuratori, l’inefficienza dei sistemi fognari e  delle dighe delle regioni meridionali nel loro insieme causa l’85 per cento delle procedure di infrazione emesse dalla Comunità europea nei confronti dell’Italia in tema di acqua.

Le regioni del Sud sono responsabili dell’85 per cento delle procedure di infrazione emesse dalla Comunità europea nei confronti dell’Italia in tema di acqua. La Calabria spreca il 55 per cento della sua acqua.

Cos’è l’acqua per la Calabria?

Giuseppe Smorto parla di “una narrazione quasi letteraria dell’acqua in Calabria”.
Quinta regione italiana per superficie forestale, ricchissima di acqua sulle montagne, si impoverisce criticamente in un drammatico spreco nel percorso verso le pianure e le coste. La Calabria è, infatti al quarto posto, nella classifica delle regioni italiane, per dispersione idrica.
Il riscaldamento globale si aggiunge ad aggravare una situazione complessa, le condizioni ambientali favoriscono l’acutizzarsi degli incendi di matrice dolosa con le conseguenze note.

Il sistema degli acquedotti calabresi è vetusto: nel sito di Sorical, società mista di gestione delle risorse idriche calabresi, a prevalente capitale pubblico regionale, leggiamo che “la massima parte degli acquedotti sono stati costruiti dalla Cassa per il Mezzogiorno (Casmez) a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso (…). In molti casi vennero realizzati degli schemi infrastrutturali completamente nuovi, in altri vennero riconfigurati, ammodernati e potenziati piccoli acquedotti esistenti, riunificandoli in opere più grandi e meglio strutturate”.

Smorto ha raccontato che all’attivazione della Diga del Menta (che si trova nel Parco Nazionale dell’Aspromonte), l’aumento della portata dell’acqua aveva causato significativi problemi alle tubazioni. L’aggiornamento della rete idrica è una delle priorità/urgenze della Calabria che si è trovata, in più occasioni, a causa dell’inesistente razionalizzazione della distribuzione idrica, a dover scegliere, durante i picchi d’uso stagionali, se approvvigionare d’acqua i turisti o irrigare le coltivazioni agricole.
Migliorare la rete idrica, dotare la regione di un numero adeguato e ben funzionante di termovalorizzatori sono opportunità reali di rilancio della Calabria, emergenze silenziose e permanenti che esigerebbero interventi immediati”.

CONNESSIONI: PORTI – CALABRIA – MEDITERRANEO

Leggiamo nel sito di Ispi che, nell’attuale contesto geopolitico, un’importanza crescente stanno assumendo i porti, intesi non solo e non più come terminali di rotte commerciali, ma anche come fattore strategico di un paese che dal mare si proietta verso il mondo.

La Calabria ha 800 chilometri di costa e 39 porti. Il più grande porto calabrese (e del Mediterraneo per transhipment), è quello di Gioia Tauro e la Regione Calabria ha investito, negli ultimi anni, 24 milioni di euro per la valorizzazione e il recupero della portualità turistica.

Smorto osserva che i porti turistici sono ancora pochi, al momento, e ci sono zone molto estese che non hanno approdi. Racconta dell’esperienza virtuosa del porto di Cetraro, che era quasi abbandonato ed è stato recuperato e rifunzionalizzato, aprendo eccellenti prospettive turistiche.
Ma è sul porto di Gioia Tauro che Smorto concentra il suo interesse: “non ha rapporti con il territorio, è come se fosse un’isola, il trasporto via rotaia delle merci è lento, non è competitivo.
La zona del retroporto, ideale per lo sviluppo di attività di trasformazione per il comparto alimentare, per esempio, è vuota.
Non c’è trasferimento dal porto al territorio e questa chiusura impedisce alla Calabria di riavere, in termini di occupazione, di produzione, di ricchezza, quello che al porto ha sacrificato, per gli aspetti ambientali e paesaggistici”.

LA CALABRIA NON È PERDUTA

Smorto ci congeda con un pensiero “ci sono due o tre Italie differenti e, in una di queste, la Calabria, molte cose non funzionano” ma “la Calabria non è perduta” (riprendendo dal suo libro p. 71, 78).
Nonostante il variegato panorama di situazioni negative e dell’isteria politica e mediatica che pare crogiolarsi nel rimestare la melma dello stigma malgoverno + infiltrazioni criminali “la Calabria, per fortuna, è anche altro”.

Mediterranei Invisibile sta rivelando “l’altro” della Calabria.

Grazie di cuore a Giuseppe Smorto per l’ascolto e la condivisione del progetto.

In apertura, porto di Gioia Tauro. Foto ©Salvatore Greco

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IL SUD È IN FONDO ALL’EUROPA: FA PIÙ FATICA A FARSI SENTIRE MA, IN PASSATO, HA DATO UN GRANDE CONTRIBUTO ALLA STORIA DEL PAESE. E ORA SI PREPARA A RIPARTIRE DALL’AGRI-CULTURA con Pietro Taccone

Pietro Taccone e la sua famiglia potrebbero essere i protagonisti di un film: un melting pot di culture, quella algida anglosassone intersecata alla passionale napoletana, poi un lungo intervallo a Milano e il ritorno al Sud. Con l’energia, la preparazione e il rigore per trasformare la Calabria in Europa.

Pietro inizia a parlare di Sud, ricordandone il glorioso passato: non una colta sinossi storica, ma premessa alla potenziale ri-emersione del territorio.

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Da sinistra Giorgio Tartaro, Pietro Taccone e Alfonso Femia in Mediterranei Invisibili – Viaggio nello Stretto III, talk del 20 settembre 2020. Fotografia di Stefano Anzini.

Nel Settecento e nell’Ottocento, Napoli e le due Sicilie sono stati protagonisti europei, con governi all’avanguardia. La prima linea ferroviaria italiana a doppio binario, nel 1839, è stata costruita per connettere Napoli a Portici.  Cantieri navali, industria metalmeccanica, tessile, alimentare ed estrattiva (dello zolfo), e agricoltura erano ben sviluppate e consolidate, con relazioni commerciali verso tutto l’Europa. Seguì, nel contesto post-unitario – un periodo buio e si cominciò a parlare della “questione meridionale”.Il Sud diventò “sud”.La nostra azienda agricola è ciò che resta di un feudo che nasce prima, nel 1700, e che generò una ricchezza occupazionale per tutta la Calabria. Era un feudo di 40mila ettari che occupava il territorio dalla costa ionica alla costa tirrenica. Oggi l’azienda agricola si sviluppa su 250 ettari nella piana di Gioia Tauro: preponderante la produzione olivicola, abbiamo alberi secolari che risalgono alla fine del Settecento. Lavoriamo per innovare il processo produttivo e per mettere a punto un prodotto dalle caratteristiche eccellenti. Abbiamo conservato la maggior parte degli ulivi antichi, meccanizzando, già dagli anni Ottanta, la raccolta dei frutti attraverso le macchine scuotitrici.  Prima di questa innovazione, le olive degli alberi secolari erano destinate a produrre olio “lampante”, così definito perché, in tutto l’Ottocento e l’inizio del Novecento, veniva utilizzato per l’illuminazione ed esportato in Russia. Altro olio veniva esportato in Francia ed Inghilterra per la produzione di sapone: il famoso sapone di Marsiglia. Gli alberi secolari, alti fino a 20 metri, non consentivano la raccolta anticipata delle drupe. La loro raccolta avveniva attraverso una caduta naturale dopo la maturazione, dando luogo ad un prodotto ormai degradato , con un eccessivo tasso di acidità. Le olive non potevano essere utilizzate per fare olio extravergine. Per fare il salto di qualità era sufficiente anticipare la raccolta. La gestione di queste piante è complessa, per la dimensione, ma le macchine scuotitrici ci hanno permesso di raccogliere le olive prima della loro maturazione, ottenendo frutti con caratteristiche organolettiche eccellenti sia per la profumazione, sia per il sapore. Così siamo entrati in una nicchia di mercato di alto profilo. È stata proprio la Calabria, per prima, a importare dalla California gli scuotitori, la cui azione meccanica è calibrata in modo tale da non danneggiare la pianta. Tuttavia, per la raccolta delle olive dagli alberi secolari è necessario impegnare molta manodopera a causa della configurazione in “sesto ducale” cioè con una distanza molto ampia tra albero e albero. Per questo abbiamo scelto di piantumare parte degli appezzamenti con alberi giovani e di taglia piccola a distanza di sei metri l’uno dall’altro. Questo consente di gestire meglio la coltivazione, sia dal punto di vista fitosanitario, sia per quello che riguarda la raccolta, utilizzando scuotitori a ombrello che impegnano per ogni albero due persone al posto delle sei/otto necessarie per gli alberi secolari. Il ricambio delle piante è costoso e, giustamente, sottoposto a vincolo paesaggistico. Non è affatto semplice la gestione di questi uliveti, molti olivicoltori fanno ricorso alle sovvenzioni statali, quando sono disponibili.Nella nostra azienda, dei vecchi uliveti è rimasto il 50 per cento, con l’attenzione di conservare le stesse varietà autoctone, ottobratica e sinopolese, per preservare la tipicità del territorioIl nostro olio viene distribuito in Europa e negli Stati Uniti.L’olivicoltura era un’economia fiorente e ricca che vuole tornare, oggi, a raggiungere i fasti del passato e ad assumere una dimensione significativa in un contesto di riferimento internazionale.Il sostegno dello sviluppo agricolo fa parte di un più ampio processo di trasformazione economica della nostra regione che può, realmente, affiancare l’industria, il terziario e i servizi del Paese, rendendolo competitivo e attore significativo nel quadro europeo e globalizzato.La nostra azienda conta 50 addetti impegnati a controllare tutta la filiera dalla coltivazione all’imbottigliamento del prodotto. Viviamo in un piccolo borgo insediato nel territorio dal 1700, nel territorio della Piana di Gioia Tauro, il borgo di Cannavà che è stato riqualificato in chiave ricettiva, turistica e di intrattenimento culturale. Il nucleo del borgo è la Masseria Santa Teresa che risale agli anni Trenta dell’Ottocento e si compone di una serie di corpi di fabbrica, articolati intorno alla piazza quadrangolare.È un impianto che fa dell’agricoltura il proprio nucleo e che si autoalimenta in esso anche per le funzioni aggiunte di ospitalità e di impegno culturale.

La raccolta delle olive, ottobre 2020 nell’azienda agricola Acton di Leporano. Fotografie di Salvatore Greco.

Il rilancio della Calabria a partire dalla terra, dalle piante di ulivo, non è una visione troppo romantica? Forse le cose sono un poco più complicate in Calabria, ma molte aziende agricole si stanno attrezzando in chiave contemporanea, sfruttando le tecnologie ed emergendo come realtà importanti sotto il profilo occupazionale ed economico.Il fermento è notevole: molti hanno saputo rinnovarsi, seguendo le direttive europee, investendo sui biogas (per gli allevamenti) e sull’energia rinnovabile (utilizzando i residui di potatura che possono essere trasformati in cippati). Tutta la Calabria è impegnata: nella zona di Lamezia con la coltivazione degli agrumi, nel crotonese con la produzione vinicola che sta conoscendo un’affermazione notevole in ambito nazionale e internazionale, nel reggino con il bergamotto per l’industria profumiera francese e internazionale. Sulla costa del reggino si coltiva il mango calabrese.Questo dimostra che ripartire dalla terra e dall’agri-cultura non è un’idea e neppure un progetto, ma una realtà già in essere.



Le lacune infrastrutturali, anche quelle interne alla regione vi penalizzano? Sono una discriminante per le proiezioni di sviluppo? Questo tema delle strade che mancano va valutato e pesato nei termini corretto. La Calabria è un territorio montuoso, Sila, Pollino, Aspromonte, sono le nostre montagne. E le montagne sono difficili da ida gestire ovunque. Sarebbe molto importante manutenere con rigore la vecchia viabilità esistente che attualmente presenta enormi carenze in questo senso.Siamo messi meglio di altri territori, abbiamo la Salerno Reggio Calabria che funziona, anche se il processo di revisione durato trent’anni ha causato problemi e disagi ingenti. La costa tirrenica è ben collegata con tutto il Paese. E anche per raggiungere la costa ionica ci sono due strade a grande scorrimento.La necessità di infrastrutturare il territorio deve fare i conti con l’assetto geomorfologico. Non si può cavalcare il tema delle strade che mancano senza una valutazione dei benefici rapportati agli investimenti e ai rischi territoriali. Il nostro svantaggio è quello di essere geograficamente “in fondo”, dobbiamo comunque fare, indipendentemente dal mezzo di trasporto, 1200 chilometri per raggiungere gli avamposti italiani per l’Europa, i maggiori centri di distribuzione, gli hub logistici.Quello che avrebbe potuto essere il nostro punto forte è completamente vanificato per funzione e per mancanza di connessione ferroviaria. Il porto di Gioia Tauro è un’occasione mancata, per costruirlo è stato oltraggiato un contesto ambientale straordinario, e ciò nonostante non offre alcun servizio alla propria regione. È uno scalo internazionale, di transhipment, una situazione chiusa e molto particolare. La nostra – nostra di diritto – scorciatoia naturale verso l’Europea e gli Paesi – il mare – è impegnata a uso esclusivo in altra funzione.


La nostra provocazione, quella di mettere il Sud al centro del processo di rilancio del Paese e dell’Europa tutta, ha una prospettiva reale? Sono convinto che sia possibile, utilizzando l’agricoltura come fattore di generazione della sostenibilità economica territoriale. Non ci sono, in Calabria, le condizioni territoriali e ambientale per sviluppare filoni industriali. I tentativi di industrializzazione hanno prodotto cadaveri di capannoni mai terminati ed ecomostri abbandonati. L’unica industria che abbia un senso sviluppare è quella rurale, creando stabilità occupazionale locale, con una grande proiezione internazionale.Per fare questo è necessario che la politica locale dia sostegno ai progetti, seguendo le direttive e usufruendo dei sostegni europei in termini corretti. E considerando che i piani dell’agricoltura non hanno, per loro natura intrinseca, la scansione quinquennale delle elezioni politiche, ma si proiettano in una visione temporale più lunga.  Errori sui tempi, scarsa capacità di comprendere le esigenze e mancanza di competenze specifiche hanno condotto a scelte sbagliate, lasciando di fatto gli imprenditori agricoli da soli a inseguire, e talvolta anche soddisfare, il sogno di affermare il proprio territorio nel mondo.

La fotografia in apertura è si Stefano Anzini.