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LA CALABRIA È IN PERENNE MOVIMENTO MA, TALVOLTA, LA SUA ROTTA È SBAGLIATA. ABBANDONIAMO I VECCHI MODELLI DI PROCESSO E AFFRONTIAMO IL NOSTRO “FUTURO ARCAICO” con Salvatore Greco

di ROBERTA DE CIECHI E ALFONSO FEMIA - 20/09/2020

Salvatore Greco, architetto e consigliere dell’Ordine di Reggio Calabria, rovescia lo schema precostituito della Calabria povera. La sua presunta povertà sta soltanto negli occhi di chi non sa vedere.

Calabria è ricchezza.”
Salvatore Greco apre con questa affermazione, subito rimuovendo, con decisione, uno dei tanti stereotipi che circondano la Calabria, la “regione povera”. È una narrazione bellissima quella di Greco, non indulge al sentimentalismo, ma svolge un’analisi rigorosa che deriva dall’osservazione e dalla memoria dei luoghi. Una visione alternata, da vicino e a distanza, che restituisce la più onesta e appassionata fotografia del Sud.
Aggiungiamo, permutando Franco Basaglia in chiave di territorio, “Visto da vicino, nessuno è normale”

La Calabria è ricca di percezioni. La sua morfologia particolarissima è già di per sé ricchezza.
È una regione montuosa, fatta di montagne che si guardano dai mari (dallo Ionio e dal Tirreno) e lo spazio fisico tra le coste e l’Aspromonte è ricco di mille storie.
Ottocento chilometri di costa, la cultura e la cucina pastorale … altre narrazioni e ricchezza.
Altra ricchezza, il non finito calabrese, le armature dei pilastri che sbucano dai solai, volumi sgraziati che spuntano, promesse non mantenute di case e dietro ogni casa c’è una storia sociale ed è questa la ricchezza.
Ricchezza ancora, quella del tempo sospeso che sembra interrompersi e poi riprende.
Ricchezza triste, ma comunque ricchezza, quella delle terre abbandonate per necessità economiche, per i dissesti idrogeologici, i terremoti, le alluvioni.
Ricchezza, i paesi fantasma, in cui esiste solo il tempo passato, il presente e il futuro sono solo illusorie intenzioni. Il borgo dell’Amendolea e la sua fiumara, il Cretto di Burri a Gibellina Vecchia che racconta non quello che esisteva, ma la sua scomparsa, gli esiti del terremoto.
La ricchezza linguistica dell’area grecanica (non certo una minoranza, parola che stride e ne contraddice l’incanto e il fascino).
Di nuovo il tempo sospeso.
Tutto questo è ricchezza.

Fotografia di Stefano Anzini.


Poi si entra nel merito di come usare e investire questo valore straordinario.
Una prima riflessione è che alcune di queste situazioni si sono conservate proprio perché sono rimaste inaccessibili.
E se, sicuramente, l’invisibilità, l’inaccessibilità possono avere accezione negativa, io credo che sia da preferire una forma di protezione estrema a interventi sbagliati o soluzioni di recupero che rendono i borghi simili a una riserva indiana.
Questo significherebbe perdere ricchezza, non guadagnarne dare spazio a un consumo che svuota, un usa e getta dei luoghi
Il cambiamento, “il progresso” anche quello più aggressivo, è arrivato in Calabria filtrato dal carattere ambientale, dalla geografia, qualche volta ostile, e ha fatto meno danni che in altre regioni.
Dobbiamo favorire un turismo delicato, non oltraggioso e arrogante.
Il paesaggio trasformato in panorama da cartolina si allinea a una indifferenziata moltitudine di paesaggi-cartolina.
Il pericolo è che la ricchezza dei valori si trasformi solo in transitoria capacità d’acquisto. E poi si perda per sempre.

Si può conciliare l’autenticità del territorio calabrese in chiave europea? La provocazione che stiamo lanciando, con Mediterranei Invisibili, è quella di Far ripartire il Paese (e anche l’Europa) dal Sud del Mediterraneo.
Non si tratta di posizioni distinte, ma di obiettivi condivisi nel rispetto dell’identità.
In Calabria non c’è una contrapposizione forte tra campagna e città, la nostra ricchezza viene dal mondo rurale e può essere interpretata e potenziata in chiave europea. Noi siamo città, borghi e comunità, dobbiamo rilanciare la visione del mondo dentro e attraverso le comunità.
Per questo penso che sia necessaria un’attenzione chirurgica su come orientare il turismo.
E dobbiamo farlo noi calabresi.
Molte cose ci sono “cadute dall’alto”, ad esempio gli investimenti in un’industria siderurgica, nonostante fosse ormai in crisi (con Taranto come competitor già in affanno). Il porto di Gioia Tauro ha poi avuto la capacità di trasformarsi in un hub di transhipment, generando, però, poco indotto locale. Il porto, infatti è una Zes – zona economica speciale – questo significa che si produce e si trasforma e nel porto stesso avviene lo scambio. La mancanza di adeguate strutture su ferro, scali ferroviari, ostacola il processo di un potenziale indotto.

Fotografia di Stefano Anzini.


Noi dobbiamo semplicemente tornare a essere quello che siamo stati, senza anacronistiche prese di posizione, in un’ottica di cambiamento reale.
La Calabria è in movimento perenne, ma spesso la rotta che intraprende è sbagliata.
Parliamo tanto di conservazione, dell’architettura, del paesaggio, dei luoghi. Ma luoghi e paesaggio vivono della loro trasformazione. Banalizzare i concetti a mettere etichette, prima quella della sostenibilità, ora quella della resilienza, fingere di non capire cosa significhi una mutazione reale, sovrapponendo modelli inadeguati alle comunità, ecco questo è prendere una direzione sbagliata.


In Calabria ci sono due albe e due tramonti, il sole sorge sullo Ionio e sul Tirreno, l’acqua è fatta dai due mari e dalle fiumare. È la geografia che fa la storia.
È da qui si parte. La politica, che è una componente fondamentale per avviare i processi d’architettura, deve disancorarsi dai modelli che non funzionano e accogliere la capacità di rigenerazione che possiedono i territori.
Nik Spatari, artista internazionale, morto di recente, fondatore del Musaba, Parco d’arte di Mammola, parlava del “futuro arcaico” della Calabria, un’affermazione poco visionaria e molto legata alla realtà.
auguro una maggiore fortuna a questa mia, e nostra, Calabria ultramediterranea”.
Insieme a Nik Spatari.