Caterina Limardo è una delle anime di Zabut, festival internazionale di corti d’animazione, diventato, nel corso di poche edizioni, un punto di riferimento importante per i professionisti, per gli appassionati e per il pubblico amatoriale. Caterina racconta di una Sicilia in cui la bellezza si rivela attraverso la cultura cinematografica, la partecipazione delle persone e i luoghi.

Caterina Limardo nel talk di Mediterranei Invisibili-Viaggio nello Stretto III del 18 settembre 2020. Forografia di Stefano Anzini

Sud e bellezza, un binomio riconosciuto, come Sud e mare e Sud e cibo. Dunque, per sillogismo, la bellezza del Sud può essere il suo volano di rilancio.
Sembra semplice, ma le etichette possono essere pericolose.
E lo sono per la popolazione locale. Mare, cibo, paesaggio… della “bellezza turistica” certo non si perde l’incanto visivo, quando i visitatori scemano e finisce la stagione balneare, ma si svuota l’energia e l’intensità di chi anima i luoghi.
Noi che al Sud viviamo a novembre come ad agosto, siamo come in un cul -de-sac, consumiamo le possibilità all’ingresso (dell’estate) e ci ritroviamo, inesorabilmente stagione dopo stagione, con un muro davanti. Ritorniamo indietro e ricominciamo.
Anche sotto il sole e davanti al meraviglioso mare della Sicilia si può conoscere l’alienazione.
Al Sud possono e devono emergere le stesse potenzialità di vita che ci sono a Milano o in qualsiasi altra città d’Italia.
Le possibilità esistono, si tratta di cercarle con molta attenzione e grande volontà. Non sempre sono subito evidenti. E poi … sì, è più faticoso.
Il progetto di Zabut è un progetto in fieri che nasce dall’interesse e dalla passione comuni di un gruppo di amici. Ma è molto di più. Si lega al desiderio di esserci come persone e come persone legate ai luoghi, con la duplice ambizione di una crescita individuale e del territorio.
Perché se il luogo, il paese, diventa bello per chi lo vive sempre, per il turista sarà ancora più attraente.
È questa una bellezza che non vive di rendita paesaggistica, dell’architettura o dei monumenti, ma di impegno personale, di cultura e di innovazione dei contenuti.

Fotografia di Caterina Limardo.


Zabut nasce nel 2016 nel centro storico della città d’arte di Savoca, in Sicilia, uno dei “Borghi più Belli d’Italia”. Nel 2019 cambia location spostandosi nel comune di S. Teresa di Riva, “bandiera blu” dal 2017.
Zabut è soprattutto un evento che nei giorni del festival mette in comunicazione uno spazio e una comunità, persone e luoghi, diventando un luogo di fruizione culturale dall’atmosfera affascinante e ospitale.
Sulla riviera ionica siamo alla continua ricerca di stimoli e Zabut è il risultato del nostro desiderio di fare.
Il progetto si trova, oggi, pronto per un ulteriore salto di qualità che gli permetta di confrontarsi con i più importanti festival internazionali sebbene ora, le difficoltà generate nel corso del 2020 dalla pandemia, abbiano complicato le cose.
In questo strano agosto di tregua dal coronavirus e, insieme, di inquieta e ansiosa attesa del futuro, per ognuna delle serate del festival, 150 persone hanno partecipato alle proiezioni. Non è un numero raffrontabile a quello degli anni passati (450 per sera nel 2019), ma racconta con ancora maggior convincimento quanta sia la voglia di ascolto, la curiosità, il desiderio di bellezza. Nel nostro caso in chiave cinematografica.
I cortometraggi – 450 -sono arrivati da 62 paesi diversi, segno che, nei tempi in cui le distanze si riducono,  l’internazionalità è, in qualche misura, un obiettivo già raggiunto. 
Abbiamo l’ambizione di crescere, da concretizzare prima nei territori limitrofi e poi nel Paese, e poi ancora verso l’Europa e verso il mondo. Ambizione che  possiamo soddisfare, a partire dal desiderio che ha la popolazione locale di partecipare.
Il festival viene sostenuto dal Comune di Santa Teresa di Riva e da un gruppo di sponsor privati e patrocinato, tra gli altri,  dall’Università di Catania, di Messina e dall’Accademia delle Belle Arti di Palermo.
Al di là delle difficoltà che dobbiamo affrontare, una per tutti il fatto che l’accesso alla maggior parte dei bandi pubblici prevede l’anticipo delle spese, e del blocco causato dalla diffusione della Covid-19, abbiamo molte idee.
Vorremmo che Zabut crescesse, rimanendo legato alla Sicilia, senza perdere l’identità e vorremmo attirare l’interesse istituzionale a livello centrale.
Ci rendiamo conto che far arrivare le persone a Santa Teresa di Riva è più complicato. Ma lo era, lo è anche farle arrivare a Taormina.
Vorremmo abbattere il “limite territoriale”, poter invitare al festival ospiti e giurati provenienti anche da fuori Italia, limite oggi dovuto non solo alla carenza di infrastrutture ma anche e soprattutto alla difficoltà nel reperimento di maggiori fondi.


Vorremmo combattere, anche attraverso Zabut, quell’idea stereotipata della Sicilia che la associa – ancora – alla mafia e alla malavita. Anche perché, un po’ ci crogioliamo, nel nostro passato, persino in una memoria storica negativa: nei negozi di souvenir di Savoca, ad esempio, il paese in cui sono state girate alcune scene de’ Il Padrino, vengono venduti mug a sagoma di pistola…
La Sicilia si è, in grande parte, affrancata, ma non credo che le altre regioni italiane, incluse quelle del Nord siano escluse dalle infiltrazioni dell‘ndrangheta e della mafia.
Il tema della mafia è diventato folklore che si autoalimenta con il gradimento di un turismo di massa, che si carica però di negatività, limitando e ostacolando la fiducia nei territori; così, chi arriva da fuori, continua a valutare i luoghi anche con la discriminante delle memorie mafiose.

Fotografia di Caterina Limardo

Qual è la via per liberare il Sud dal sud?
Prendere le distanze dagli stereotipi. È la prima cosa.
E poi assumere la consapevolezza di avere un tempo più lento rispetto al Nord. Non è, necessariamente, un valore negativo. Ma non dobbiamo perderci e lasciare le cose incompiute. Altrimenti non usciremo mai dal “sud”.

La fotografia d’apertura è di Stefano Anzini.